di Andrea Speziale
L’esempio più eclatante di come l’impiego dei droni possa cambiare l’approccio tradizionale al conflitto navale è visibile nel Mar Nero dove, in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022, l’indiscutibile superiorità convenzionale di Mosca è stata messa a dura prova dalle forze armate di Kiev che hanno rapidamente imparato ad utilizzare al meglio i droni marini.
Di solito, quando si sente parlare di “droni” il pensiero corre subito ai piccoli apparecchi telecomandati dotati di telecamera che sembrano quasi dei giocattoli da far volare in un parco. In ambito militare, invece, la stessa parola evoca immagini di piccoli caccia pilotati da remoto che solcano i cieli armati e pronti alla guerra oppure impegnati in missioni di sorveglianza.
Questo perché ormai il termine “drone” è entrato nell’immaginario collettivo in associazione al volo e allo spazio aereo. Ma da qualche tempo un altro scenario altrettanto importante è diventato il principale teatro di impiego dei droni: il mare.
Soprattutto negli ultimi anni alcuni tratti di mare hanno assunto una rilevanza strategica senza precedenti negli equilibri geopolitici globali, e per le motivazioni più disparate.
Il Mar Cinese Meridionale, da cui transita la maggioranza del traffico commerciale del mondo, è ormai diventato il teatro in cui si sta combattendo una costante prova di forza tra gli Stati Uniti, che non vogliono perdere la loro posizione di dominio su uno specchio d’acqua di tale importanza strategica, e la Cina, che mira ad espandere la propria influenza marittima nella regione attraverso la costruzione di isole artificiali e con esercitazioni navali sempre più frequenti.